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Meserto

Redazione

14 febbraio 2020

Davide Marchese

Dissipato mi riverso

in desertico elemento

perduto quindi perso

s’un incerto fil di vento

che me lascia sul colle

svettante del mio io:

vulcano che ribolle

in continuo borbottio.

Poi, con un respiro

che diventa colpo d’ala,

mi prostra in un inchino

che al fiato mi pugnala

scagliandomi in un vuoto

che vertigine m’arreca,

frenetico ed immoto

al punto che m’acceca.

 

Nel vortice che segue

la mia pelle si frantuma

ove d’anima la pece

par mondarsi s’una duna.

E sono al tuo cospetto

vuoto più dell’eco

che su questo fazzoletto

di me stende il segreto,

pronto a sottostare

a ogni tua tentazione,

pronto a rinnegare

ogni mia negazione.

Tacciando ogni mio passo

verso un luogo inesistente,

conscio che ‘l mio pasco

sol è sabbia che si perde.

Nel silenzio indaffarato

a non farsi percepire

trattengo tanto il fiato

che mi sembra di svenire,

e desto mi ritrovo,

ma non so se finalmente,

in quest’ermo che sorvolo

suon di cetra irrilevante.

 

Tenterò di non tentare,

cercherò di non capire,

scorderò di ricordare

sol ai piedi le mie mire,

esponendomi al riverbero

del laconico conforto,

discavando nel mio sperpero

il subìto e ‘l dato torto.

Ed ecco che riaffioro

come fiore fra la sabbia,

soltanto bisognoso

d’una mera goccia d’acqua...

Allorché mi scoverai

so che io t’incontrerò,

ma di me predar potrai

solo quel che non sarò.

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