A mio padre
Alice Strobino
9 gennaio 2021
Luciano Rossi
Verso sera,
i montanari videro,
lontane,
comparire le ruspe.
Un punto all'orizzonte,
ancora senza rumore.
I ginepri odoravano
e stormivano lievi
le querce fanciulle.
Ma quando inghiottì il sole
il primo squarcio aperto
nella giogaia inerme di tramonto,
mio padre ammutolì.
Solo allora le pernici volarono via,
i cani si accucciarono ai suoi piedi
e niente fu più come prima.
Mi strinsi bambino alle sue gambe
e lui guardò l'orizzonte anche per me
che non sapevo.
Qualcuno tornò dai campi
col suo carico d'erba,
graffiando la sera col tridente.
Scoteva la testa:
traverseranno il mio prato
disse
e non guardò nessuno passando.
Il suo sudore acre, rappreso al legno della cesta,
fu l'ultimo odore buono che sentii
prima che i camion scaricassero,
percotendo pesanti la mulattiera,
le loro rancide ferramenta ostili.
Le vecchie del villaggio
non uscirono di casa.
Sapevano che la loro pena non sarebbe mutata,
che la strada non le avrebbe portate in alcun luogo,
che l'oleandro sotto casa sarebbe morto di sete.
Morirono le vecchie
e morì l'oleandro.
Ieri
è morto anche mio padre.
La strada,
che la sua mano incerta
aveva tracciato sul catasto dei nostri campi più belli,
ha portato la sua bara
in un lontano loculo grigio
uguale a mille altri.